
Il sistema liberal-democratico si lascia avversare per mezzo di una finzione. Dopo averci smussato le armi – con un lavoro minuzioso progressivo e progressista compiuto sulla mente, e quindi anche sul corpo, dei colonizzati – ci dice “siete liberi di avversarci”, non prima di aver trattenuto per sé stampa “libera” (ride), tribunali, e uomini delle istituzioni che attraverso un’altra “fictio” – l’ennesima – illudono le masse col principio di rappresentanza, sfidando Aristotele nell’affermazione di uno stesso essere che sarebbe al contempo, in un medesimo rapporto, “in atto” e “potenza”, “governante” e “governato”.
Intendiamoci: queste righe non vogliono integrare in nessun modo la fattispecie “vittimismo” e neppure costituiscono lamentele, solo mera constatazione degli accadimenti correnti. I non allineati – che percorrono strade non indicate da altri per loro, vie particolari dove di rado s’incontra qualcuno – sono alla mercé del vincitore, che li ha privati della Patria e della politica (guerra compresa). “La storia è finita” – belano i più di una società con sempre meno “soci” rimpiazzati da frammenti uniformi – “e meglio di così non poteva andare”: i desiderata del padrone sono diventati i loro, la schiavitù che si realizza nella forma più dolce, quella occidentale del celebre “produci, consuma, crepa” – vede le masse italiane (ed europee) indegne del loro sangue e della propria terra, elementi che rivendicano da sé un pensiero forte e indipendente protagonista del vissuto di ognuno, una sacrosanta riscossa dello spirito. Del resto, c’era da aspettarselo: il nemico va odiato non disprezzato – ce lo ricorda lo Zarathustra di Nietzsche – e il nostro è tutto meno che stupido: questo “lavaggio del carattere” nel Continente occupato, concentriamoci sull’Italia ma lo stesso può dirsi per i tedeschi, si è reso necessario per stabilizzare la conquista e “pacificare” i territori, seguendo vie spiccatamente economiciste – ci torneremo sopra nel prossimo incontro di geopolitica – e quelle propagandistiche, con ottant’anni di retorica antinazionale da far impallidire Goebbels e soci. Attaccare la coscienza nazionale significa spaccare per sempre un popolo – incapace di sentire quello che Heidegger definiva come “destino comune” – ed è la più efficace garanzia contro ogni insurrezione o potenziale vendetta dei colonizzati, che sono “inglobati” nella storia dello straniero – non è un caso che le tradizioni tipiche statunitensi trovino sempre più fortuna col tempo nel Belpaese; da ultimo – a tentar di spegnere i pochi che non hanno ancora smesso di bruciare – venne il peccato mortale, secondo la Zivilisation occidentale, quello del “maschio tossico” e l’inevitabile soluzione della “devirilizzazione”, associata impropriamente solo al mondo “dem-woke” d’oltreoceano quando, a ben vedere, è frutto inseparabile di una ideologia come quella “americanista”: che lo spirito in rovina intacchi il corpo è lezione della Grecia antica, non serve scomodare Evola; e tuttavia chissà che anche questa arma di dominio – la “femminilizzazione” delle masse occidentali, tra cui anche quella yankee – non possa ritorcersi in futuro contro lo stesso re del mondo, di fronte a popoli dell’est che sentono di avere davanti a loro ancora una storia e un destino – tutto da scrivere.
È vero: siamo i vinti; ma è falso dire che siamo “immobili”. Siamo ancora Uomini, almeno noi, e come tali pronti a infilarci e spingere laddove il nemico, ancora troppo feroce, mostrasse un punto debole – con le uniche armi che ancora ci restano: quelle culturali, atte a mantenere cuori e menti accesi in coloro che desiderano ritornare soggetti attivi della storia e non essere mai più oggetto di quella altrui.
Autore:
CriminiDem