
Coglie nel segno la critica “tradizionalista” affermando che in Gentile ci sono i rivoluzionari Mazzini e Cattaneo, il primato di Gioberti, e tutta l’eredità risorgimentale su cui pure pende la macchia (politica) inglese: e tuttavia l’ombra della luce non riesce a coprire il Sole di quei ragazzi che, orfani dell’Impero da mille e più anni, volevano col giuramento di sangue finalmente ridare agli Italiani uno Stato come promessa e premessa di qualcosa di grande – quella “riapparizione sui colli fatali di Roma” nel 1936 che sancisce il Fascismo come apice del Risorgimento; e pure, dal canto suo, ha ragione Julius Evola quando critica dalla prospettiva di “destra” perché conferma come “l’Idea nuova” non fosse “di destra” e neppure “di sinistra” (cfr Sternhell) ma la nascita di una (terza) possibilità che, per la prima volta, si inverava nella storia. E la sconfitta che ne seguirà sarà sul piano militare, giammai su quello delle idee, come invece patì il comunismo che si vide preferire l’originale (il capitalismo) alla copia rovesciata.
Machiavelli non trovò mai il suo Principe, a Marx fu necessario Lenin molti anni dopo, Platone andò a Siracusa e ne tornò disgustato. Solo Giovanni Gentile teorizzò e partecipò alla creazione di uno Stato a cui, a costo della vita, non voltò mai le spalle. Fu proprio questa coerenza a costargli cara: col discorso del Campidoglio (1943) fu chiaro subito a Radio Londra che finché il Filosofo fosse rimasto in vita sarebbe sopravvissuto con Lui ancora il rischio di quella conciliazione nazionale, auspicata fino alla fine in ogni suo intervento, con danno ai piani alleati che avrebbero così perduto i pochi utili idioti della resistenza impegnati nella lotta parMigiana. Gli angloamericani ordinavano e i gappisti eseguivano: prima apparizione all’orizzonte di quella Yalta che sarebbe presto diventata realtà. E che dire dell’egemonia culturale oggi attribuita a Gramsci ma che a ben vedere fu di Gentile? La volontà del filosofo di creare una classe dirigente che avesse il senso della Nazione rese possibile il miracolo economico italiano del dopoguerra impostato sulla premesse economiche del ventennio di uno Stato “imprenditore” (IRI) e uomini come Enrico Mattei, mentre scuole e università democratiche, spiccatamente antigentiliane, si realizzeranno compiutamente in personaggi non appartenenti all’Italia come De Benedetti e Montezemolo.
Ottantuno anni sono passati da quel 15 aprile ma non muore l’esempio di un Maestro colpito per sporgersi dall’auto verso chi, marchiato dall’infamia rivendicata tutt’oggi dai nipotini scemi, cercava il suo sangue fingendosi studente in cerca di risposte. Colpirono l’Uomo ma non il suo Pensiero che vive, eternamente, sperando e credendo nell’Idea di un’altra Italia che resta ancora possibile nella realtà e non solo tra i libri e la filosofia.
Autore:
CriminiDem