
Anarchico è colui che dando a se stesso una legge propria fugge dallo Stato, rendendosi l’archetipo di una legislazione mobile che diventerebbe tangibile nel rapporto di forza e di scontro tra lui e il mondo – tra la sua etica e la comune morale.
Questa descrizione può avere – come spesso abbiamo visto accadere – due risvolti: anormale e di caduta l’uno, normale e anagogico l’altro.
Il primo caso – senz’altro il più frequente – è quello dell’uomo codardo che dell’anarchia fa dottrina umanitaria, che nella legge propria non vede il comandamento dello spirito suo, quanto invece l’opportunità di sottrarsi ad ogni impegno, ad ogni battaglia, ad ogni slancio di affermazione.
La semplice vita è l’unico valore di questo essere, il quale più che un vagabondo somiglia ad un parassita – è l’ignavo del tempo moderno, che si attacca ad ogni seno pur di vivere, pur di godere di ogni benessere concesso, pur di respirare fino all’ultima esalazione – e Noi sappiamo, perché Spengler ce lo ha insegnato, che «chi vuole soltanto benessere non merita di vivere su questa terra». Il secondo caso – ben più raro e prezioso – è quello di colui che rifiuta ogni dottrina perché sceglie di agire sul mondo sotto il segno della propria Virtù, perseguendo la Via del suo profondo sentire.
Questo è l’Anarchico Etico ovvero Aristocratico che lungo il corso del proprio destino scoprirà falsa ogni premessa individualistica, in quanto vedrà la sua sensibilità – il suo fuoco, lo spirito che palpita nelle sue vene – intrecciarsi ad altri esseri che, fedeli a se stessi, battono la Via per il Tempio.
Si rivelerà così in lui il sentire della razza – della sua razza ovvero casta – spirituale, nella quale la sua legge interiore si rifletterà in una legge comune, che è la legge della sua comunità.
Come un cavaliere errante che abbia radunato in forza altri cavalieri attorno a sé, esso comprenderà che lo Stato è la naturale emanazione delle virtù di una razza – di conseguenza l’osteggiare un determinato «Status [stato = stare] Quo» ha il significato dello scontro verso l’emanazione di una razza diversa: ovvero il significato di una lotta esistenziale per affermare la propria visione del mondo contro quella del nemico.
Premettendo che le affermazioni a seguire possono avere solo dei tratti di lotta spirituale – almeno fin quando la razza non si risolva in un’effettiva entità politica avente il diritto allo sconvolgimento dello «stato delle cose» ovvero ad una guerra civile, entità, quindi, che oltre alla forza spirituale possa mettere in campo un’effettiva forza materiale – premettendo ciò, il professor Schmitt ci può venire in soccorso.
Finché l’Anarchico ha agito solo nella sua lotta per l’esistenza, il suo avversario ha assunto i caratteri dell’Inimicus – cioè del nemico privato – ma appena questo solitario è tornato alla sua razza, l’Inimicus si è trasformato in Hostes – cioè nel nemico pubblico – in quanto la razza, esistendo, emana lo Stato, e di conseguenza una costituzione non scritta basata sulla visione del mondo di tale Stato.
Ne consegue che in tal senso l’Anarchico Etico abbia il valore di un «disperso», di un «separato dalla razza», di un «eroe dormiente», di un «orfano di padre», il quale è refrattario ad ogni compromesso con visioni del mondo che non siano proprie alla sua – vedendo perciò in questo ciclo la negazione del suo essere spirituale e di ogni sua concreta possibilità.
Reintegrato alla razza, allo Stato, perciò alla Patria, tale tipo d’uomo si avvicinerà sempre più alla ricerca del sacro, e con i suoi fratelli ritrovati s’incamminerà verso la vetta, sulla quale scoprirà che il suo sole viene da lontano – che l’Anarchia alla quale credeva di partecipare era il riflesso della libertà propria agli eroi che mal sopportano la morale degli schiavi.
L’ultima rivelazione che giungerà d’incanto nel cuore del prode risvegliato è che l’Anarchia che non si volga al Fascismo, e dal Fascismo alla Tradizione, è una promessa mancata.
Autore:
Emanuele Ennio Quattrini