Come l’Essere plasma il Divenire

Bisogna avere ben chiaro come l’«Essere» rappresenti l’immutabilità dell’individuo per quello che è e che non può essere diversamente – senza tradire la propria intima natura – non essendo più lui ma altro da lui (non è difficile comprendere quanto debba essere profondo il taglio per recidere e tradire la propria essenza, mettendo in atto un crimine contro se stessi): l’Essere in questo senso può essere inteso in relazione allo Stato cioé allo stare, inteso quindi come punto fermo e polare ovvero di dominio – non a caso tale principio è messo in relazione alle virtù maschili e virili in senso superiore, nonché a ciò che riguarda lo Spirito.
Diversamente, la proprietà del «Divenire» è legata al principio feminile del Caos, del disordine ovvero della materia informe dalle innumerevoli possibilità di forma – le quali però sono atrofizzate in mancanza dell’azione di un principio superiore.
Il Divenire altro non è che la possibilità semplicemente umana e naturale – orizzontale – la quale se non canalizzata dallo Stato (dallo stare, dall’essere) disperde la sua energia.
Carl Schmitt mise di fronte ai nostri occhi l’esistenza e l’antitesi di popoli diametralmente opposti: uomini della terra – umano deriva da humus cioè terra – e uomini (?) del mare.
Riguardo al mondo antico della Tradizione questa antitesi è riscontrabile in Roma di contro a Cartagine; civiltà della terra di contro a civiltà marittima; solare contro lunare; maschile contro feminile; antitesi dell’Essere di contro al Divenire.
Ora è da mettere in evidenza come Roma abbia saputo imporre il proprio destino, dominio, gittando sale su Cartagine annientata, grazie al superamento dell’antitesi sopra detta, della perfida «Diade».
Per combattere sulle acque del Mediterraneo avendo la meglio sul nemico esperto, Roma non ha modificato né trasformato il proprio Essere, la propria Etica e la propria Visione del Mondo, quanto piuttosto è riuscita a piegare il Divenire alla propria essenza, dando forma alla materia.
Roma non ha dovuto abbassarsi al tradimento di sé ricorrendo alla battaglia piratesca cartaginese – lì dove il romano ha continuato a vedere la sua Patria come terra ferma e non invece come imbarcazione slanciata nel mare – ma ha prolungato – come fosse un’appendice – la sua terra al mare, trasformando la battaglia navale in battaglia campale.
Tenendo conto di tutto questo si può affermare come non si possa divenire senza essere, cioè senza avere basi solide, radicali e profonde, senza cioè avere il carattere del proprio Spirito, di ciò che è della propria natura e superiore alla propria natura.
Diviene senza Essere solamente lo studente ammaestrato dal maestro a non superarlo mai, ma rimarrà sempre un divenire atrofizzato senza possibilità concrete – e questo spiega esaustivamente la massa di anime vaganti che permea la nostra amata terra: anime senza radici, senza casa, senza fuoco né sole, senza Centro alcuno e senza la possibilità, in mancanza dell’uomo «Degno», di aggrapparsi a lui per risorgere come uomini e donne pronti a prendere il proprio posto di comando e d’obbedienza fedele, per un sentire superiore.
D’altronde cosa c’è d’aspettarsi da un mondo che manda gli uomini allo sfacelo di guerre economiche negandogli anche la possibilità – fosse pure fantastica – di essere accolti come eroi guerrieri nell’altro mondo.
Cos’ha di romano questo mondo e questi uomini moderni? Nulla.
Cos’ha del culto del vitello d’oro? Tutto.
Ci tengo, cari miei lettori, a concludere l’articolo con questo passo del grande filosofo prussiano: “Si ripaga male un maestro, se si rimane sempre scolari […] Voi non avete ancora cercato voi stessi: ecco che trovaste me. E ora vi ordino di perdermi e di trovarvi; e solo quando mi avrete tutti rinnegato io tonerò tra voi.”
Perché gli unici uomini degni sono quelli che conoscono il proprio Essere, e solo loro potranno forgiare il futuro per quello che sono, secondo la propria Etica e visione del mondo.
Agli altri la missione di ritrovarsi in vista dell’ascesa.

Autore:
Emanuele Ennio Quattrini

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