
V’è stato un richiamo d’elica, giuntomi circa durante l’ultimo plenilunio, che mi ha ridestato da uno strano torpore talassico. Avevo da poco cominciato a dialogare con gli Atlantici, un gruppo di intrepidi trasvolatori fuori dal tempo e dallo spazio. Alla loro testa vi era Italo Balbo, un ferrarese colmo di pretese immortali. Come dargli torto? Come si può preferire l’immediato e il comodo di oggi? Camminava lungo la piazza del Castello, col pizzo alla bersagliera verso l’alto – precursore del suo destino -, cercando di immaginare un modo per solcare quel cielo che originava un meraviglioso contrasto coi riflessi sulle mura della fortificazione ferrarese. Il tratto tra Ferrara e Orbetello sembra restituire una sintesi perfetta della nostra Penisola. Almeno così scriveva Italo. Io l’ho raggiunto dal Sud del Sud dei diavoli, dalla mia Milazzo, terra dell’eroe Luigi Rizzo tanto venerato dai combattenti della Prima guerra europea. Gli spiriti simili tra loro si attraggono, non v’è scampo. Lasciate perdere gli opposti: ognuno con la sua natura generata dalle radici profonde che non gelano mai. Arrivo ad Orbetello col favore delle ultime luci che combattono l’oscurità indotta da nuvole colme di grandine. Siamo nel mese di maggio e non si riesce a trovare un giorno buono per decollare. Mentre gli Atlantici proseguono con gli ultimi preparativi a suon di improperi, decido di posare i miei bagagli lungo il corso principale di Orbetello, vuoto al pari dello specchio d’acqua grigio dell’idroscalo che non presuppone alcunché di buono. Italo mi aveva avvertito: “Se dovessi venire con noi a dormire in tenda, dovrai rispettare la prima regola: gli Atlantici di Orbetello son tutti scapoli!”. Il terribile avvertimento non mi sfiorò nemmeno, d’altronde non ero mica adatto a quel tipo di impresa e non possedevo alcun merito per poter godere di quella preparazione iniziatica. Purtroppo sono nato in un’epoca salottiera, ove per arrivare dall’altra parte dell’Oceano basta semplicemente acquistare un biglietto e mettersi comodi per circa sei ore. Nel 1931, l’anno in cui sono stato catapultato dal treno che è partito da Roma Termini circa novanta minuti fa, l’Oceano non era una possibilità, ma una sfida senza eguali.
Una volta lasciata la stanza che mi ospiterà per questa notte, mi avvio verso l’idroscalo costeggiando la Laguna di levante. Io son avido di orizzonti… e questo di Orbetello mi rinvigorisce! Quale luogo migliore per dirigersi intrepidi e trionfanti verso le coste che videro Roma dominare sul nemico cartaginese e poi in linea retta verso le Americhe? Dentro una vecchia polveriera di un tale Guzman mi accolgono due trasvolatori. Giovanni è un vecchio lupo dell’aria, la sua voce si spezza per l’emozione ogni qualvolta parla di Orbetello o dell’aeronautica. Purtroppo il suo cuore ha subito l’ennesima crepa. Ricordate, cari lettori, di Alessio? Il fenomenale pilota delle Frecce Tricolori morto in un incidente quasi un mese fa? L’amicizia tra i due è stata spezzata a causa di una fatalità assurda. L’unico anelito di vita che tiene in piedi l’Atlantico Giovanni è l’epopea di gloria che Orbetello ha vissuto con Balbo e gli altri trasvolatori. È un continuo gioco tra presente e passato.
Saluto gli anziani Atlantici e mi dirigo verso l’idroscalo. Il fermento è palpabile. Gli idrovolanti stanno per essere incanalati sui binari per poi essere gettati in acqua. È l’ora febbrile prima della conquista. In pochi hanno dormito durante l’ultima notte a Orbetello. Trovo Balbo che scrive una lettera: “Alla grande nemica delle mie avventure…”. Gli chiedo chi sia e mi risponde flebilmente: “mia moglie”. Risparmia la voce, il buon Italo, per non sprecare energie. L’avventura sarà lunga ed epica. Mi congedo da lui e dal resto degli Atlantici, consapevole che nel nome dell’aviatore ferrarese è racchiuso il suo amore. Il cielo della località grossetana è finalmente limpido e il vento s’è trasformato in una leggera brezza anticipatrice del grande caldo estivo sul Tirreno. Addio eroi! …
Autore:
Marco Spada