
Negare il dato del reale non è un valore ma nichilismo. La lezione del Nietzsche di al di là del bene e del male evidentemente non è mai entrata nelle zucche di chi, nel corso del tempo, ha pure cercato di rivendicare il filosofo sia come liberale – evidente la confusione tra individualità e individualismo – e poi come potenziale guru di sinistra per il suo “non esistono fatti ma solo interpretazioni” – e anche qui rimandiamo alla necessaria differenza tra relativismo e prospettivismo. La lucidità, dicevamo, non ha mai fatto capolino da quelle parti e per questo le vecchie ideologie ottocentesche – che troppi danni hanno già fatto – nel tempo si sono ostinate a fondare la propria visione della vita su meri criteri economicisti che, ognuno a suo modo, hanno avversato quel concreto atteggiarsi della volontà dell’individuo – non più semplice atomo indifferente a tutto ciò che non lo riguarda – riscopertosi parte di una comunità nazionale che trova la sua unità politica nello Stato. Ecco, lo Stato; ho scritto spesso – i lettori più attenti lo sanno – di come la nostra lotta, oggi solo culturale, non sia finalizzata alla disgregazione e all’annichilimento di questo, bensì abbia come scopo quello di riprenderselo – lo Stato. Come potrebbe esserci politica altrimenti? E tantomeno sarebbe garantita la libertà del cittadino che in lui trova scudo e spada del suo agire contro forze organizzate in “gruppi di singoli” privati, apparentemente invisibili ma non per questo irresponsabili . Ora che abbiam sciolto, risolvendolo, il dualismo tipicamente liberale individuo/comunità e attraverso il combaciare di entrambi gli elementi in uno siamo giunti alla nozione di “popolo” – che dotato di una sua coscienza e di una sua volontà aspira a farsi Nazione – appare più evidente la portata della nostra tesi che afferma una nuova corrispondenza: quella tra questione sociale e politica internazionale. L’imprenditore e l’operaio di uno Stato forte hanno sempre più disponibilità e possibilità di realizzarsi, nel lavoro e nella vita, rispetto al datore di lavoro e al contadino di uno Stato povero; una politica estera all’altezza di chi porta sulle spalle duemila e più anni di civiltà sono imprenscindibili per una comunità che voglia ancora sognare, tutta assieme, in grande. Ma la strada che trasforma la volontà in libertà passa da un’energia precisa che si chiama potenza, un problema da cui non si scappa neppur volendo, che non ammette nessuna utopia capace di farsi rifugio – sia essa il sogno della pace del mondo dei kompagni dem, oppure l’ostinato negare un interesse fondato sul “Noi” tipico dei liberali. Ognuno ha tanti diritti quanta è la sua potenza – si riconosca il valore dell’eterna lezione di Nietzsche e si mettano gli italiani in condizione di prosperare; negare questa filosofia della forza non serve a nulla, se non a garantirsi un’imperitura posizione da subalterni. A meno che, ovviamente, la preferenza accordata alla passività e all’impotenza piuttosto che all’attività – contraddicendo pure il motto del Poeta – “Habere non haberi”, GdA – non sia un’altra sciagurata scelta, l’ennesima, della piccola politica italiana ed europea che, dal dopoguerra, non sa più darsi un obiettivo e la potenza di mezzi atti a conseguirlo.
Autore:
CriminiDem