
Il Fascismo è un’Unità di forze, talvolta perfino contrarie, canalizzate ed echeggianti in un’unica volontà: lo Stato.
Lo Stato Fascista contiene in sé molteplici anime, dalla più sociale e rivoluzionaria a quella più tradizionale e reazionaria, le quali prese a sé stanti risulteranno inevitabilmente nemiche sia sul piano politico che spirituale. È un conflitto intestino regolato dall’azione formatrice dello Stato, il quale riconoscendo la lotta come linfa di ogni Cultura, ne raccoglie gli elementi positivi e ne fa sostanza delle sue aspirazioni.
Viene spesso accusato all’ala tradizionale del fascismo, e al fascismo stesso, di essere la “guardia bianca della borghesia”, e alla sua ambizione di restauratio imperii – dove il concetto d’Impero ha carattere Romano e non inglese – di essere la quintessenza del conservatorismo borghese pre- rivoluzionario. In queste affermazioni c’è della follia, se non semplice ignoranza in materia – oppure c’è da vedersi il capo rispuntato di quel giacobinismo rivoluzionario, di quegli “immortali principii”, che ad oggi ci fanno da cappio al collo.
Se c’è una frangia che più ha osteggiato la vita borghese – simbolo di quella separazione dell’estetica dall’etica, del vivere svuotato dalla vita, privo di doveri e principî superiori che non si esauriscano in parole senza radici – è stata quella dell’ala tradizionale.
Pur non accusando i fascisti di stampo sindacale – i quali hanno una visione piuttosto orizzontale della storia quando provengano da correnti fin troppo marxiane – è dovere ricordare loro che le radici da cui provengono risalgono proprio alla rivoluzione borghese contro l’aristocrazia del 1789.
Potendo noi vantarci di avere una visione del mondo e della storia verticale, rimarchiamo invece la nostra vicinanza spirituale ai contadini controrivoluzionari della Vandea, i quali reclamando la propria guida aristocratica e abbandonando i campi di lavoro in difesa di Dio e della Monarchia, incontrarono la morte e furono soffocati nel sangue.
Un rapporto certamente diverso lo si ha con i socialisti di stile prussiano, ai quali possiamo ricondurre uno spirito tradizionale del quale rivendichiamo la positività, oltre che secondo noi, uno spirito essenzialmente fascista. D’altronde questi ultimi fanno radice ad una diversa attitudine – poco franco-anarchica, molto autoritativa – per la quale possiamo esprimere vicinanza. Rappresentazione organica di questa lotta interiore tra reazione e rivoluzione è riscontrabile nello stesso animo del fu Duce del Fascismo, Benito Mussolini, il quale pur avendo una tendenza socialistica – data la sua formazione giovanile – è stato attratto dai più alti simboli della tradizione, come l’imperio, la romanità, la gerarchia, il cosmos contro il caos – la forma contro l’informe – e da ciò si può scorgere la rivoluzione reazionaria del Fascismo.
Per quanto riguarda il problema del lavoro potremmo anche accostarci alle vedute dei fascisti sindacali, se non fosse che noi individuiamo il fulcro della questione oltre l’usura demoliberale che affligge il lavoratore, cioè nel lavoro in sé per com’è concepito. Non è il nostro sogno quello di un mondo in cui tutti possano lavorare con cospicui compensi e con la più alta agiatezza economica, in quanto la falla non sta tanto negli stipendi, nei diritti o nel benessere, quanto piuttosto nella natura intrinseca di ogni individuo nel riguardo del servizio di cui è stato reso responsabile.
Il lavoro sarà principio etico quando tornerà ad essere un’arte e quando ogni individuo torni ad essere padrone della propria arte, di cui è artigiano in quanto ne è spiritualmente affine. Opus ars la quale è imprescindibilmente legata all’etica gerarchica: ai principî di fedeltà e di onore che hanno caratterizzato la tradizione corporativa romana e medioevale.
Per esplicare la corporazione sotto questi termini, useremo le parole di Julius Evola riferentesi allo stato del lavoro del Terzo Reich: «il proprietario dell’azienda è il Capo (letteralmente: il Duce, Führer), la maestranza e gli impiegati sono il suo seguito. Nessun corpus generale di statuti sindacali sui rapporti di lavoro. L’intesa è diretta e avviene, caso per caso, fra persone di fronte a persone. In caso di infrazione dell’impegno di fedeltà, non vi è che il ricorso ai Tribunali d’onore».* Così, tradizionalmente, l’appartenenza sentita alla propria maestranza, e l’atteggiamento quasi militare con la quale la si portava avanti, seguendo i principî fondamentali detti sopra, stavano alla base dell’esistenza dell’Etica del lavoro. Alla luce di ciò siamo fieri di rinnegare il lavoro svuotato dalla sua sostanza spirtale; a ognuno il posto per il quale è più degno, e se è vero che la comunità del lavoro è responsabile della produzione nei confronti dello Stato, lo Stato ha il dovere di restaurare la struttura tradizionale che consenta ad ogni uomo di prestare servizio lì dove il suo sangue lo chiama e dove potrà vantare la capacità di una maggiore produzione, e in questo, il suo servizio fedele all’azienda, allo Stato e alla nazione.
È da rilevare inoltre che difficilmente ci si potrà spingere più avanti verso la luce nel caso in cui si continuerà ad usare il linguaggio di quel materialismo storico, capitalistico marxiano, il quale andrà ad agire come morbo patologico per tutto il Fascismo normale e normativo, sviandolo dalla sua condotta positiva e solare.
Così, tornando al principio, Tradizione e Fascismo sindacale sono inconciliabili, ma possono essere uniti dallo Stato in quanto forza formatrice traente il meglio da ogni scontro, da ogni manifestazione di vita atta alla grandezza della Totalità, nelle sue gerarchie e personalità.
In assenza però di tale forza, di tale Stato, ovvero di tali uomini capaci di organizzare una struttura tradizionale che possa soffocare il caos e disporre ordine, la grande opera fascista risulta incompleta e impossibile, opera cui destino primo era di creare l’uomo nuovo ovvero homo dignitatis, cioè colui che sarebbe stato alla base della nuova Era.
Questo ideale di grandezza non è stato realizzato, ma finché ci saranno carte in tavola nulla potrà dirsi concluso. Non potremo sovvertire socialmente lo stato democratico vigente, ma possiamo fare in modo che questo nulla possa su di noi, che il suo morbo non influenzi il nostro spirito, poiché siamo di razza aristocratica, e saremo pronti, quando sarà necessario, a prendere il nostro posto per la rivolta contro il mondo moderno.
*Rivolta contro il mondo moderno – Julius Evola – pagina 151
Autore:
Emanuele Ennio Quattrini