Meditazioni della vita offesa

L’uomo è offeso, la sua vita repressa, la sua natura tradita. Le parole sono inflazionate, pervasive, vuote. L’amore è marcio, colorato, desublimizzato. La libertà è democratica e tollerante, la felicità reclamizzata e schizofrenica, la solidarietà inautentica e superficiale. In questa cornice il mondo è liberalmente amministrato, commercialmente manipolato e economicamente sfruttato da un regime di concorrenza che lo condurrà all’annientamento insieme a quella folla che, anestetizzata dal consumo, non se ne accorgerà nemmeno. Queste sono le linee che vanno scomparendo di un ritratto, quello della civiltà, ormai esposto soltanto in un museo, l’industria da cui nasce il nuovo automa del futuro, il consumatore. Il suo volto è ovunque passivo, degradato, giovane, di quella giovinezza ormai “autunno di bruttezza” sempre alla ricerca di fugaci emozioni e desideri fittizi. La sua mente acritica e arida ha preso le sembianze di un cubico sarcofago nero mentre le sue idee quelle di un consiglio per un acquisto. Il suo corpo si fa scudo di un inutile benessere per coprire le cicatrici di un lavoro precario, privo di assicurazioni, parcellizzato e specializzato e infine il suo spirito necrotizzato non più in grado di immaginare oltre ciò che c’è già. Il compimento di una mutazione antropologica che riduce l’uomo a copia dell’umanità, a creatura scambiabile, a una statua di sale, a una semplice regola, a un funzionario delle leggi del mercato praticamente ad un eterno incapace di criticare. Esattamente così è tramontato l’occidente, inaugurando la peggiore tra le tirannie, l’epoca dell’assoluta peccaminosità, quella che non forza il pensiero ma lo ruba, formando opinioni con l’inganno, creando promozioni per la scelta di prodotti con il fine di persuadere gli individui a seguire una concezione edonistica di una vita dipendente, invidiosa ed astratta a svantaggio di quella libera, concreta e autarchica che invece resiste, lotta e non ci sta ad essere sacrificata sull’altare del principio dell’omologazione. Per questo sceglie tra le sue fila solo chi è pronto a lottare, a proclamare un rifiuto totale in nome della collettività e della cifra della sua civiltà, il lavoro. Sinonimo di nobiltà e dignità è a questo che ci appelliamo per la ricostruzione di un uomo che sia sociale così come la catena che lo lega agli altri, che dunque non si accontenti di valere di per sé ma sia plusvalore per tutti, che richieda indietro il dibattito, lo scontro e la centralità di quei contratti calpestati, di quegli stipendi sospesi e di quei sindacati silenti e giuridicamente assenti anche di fronte alle morti sul posto di servizio. A noi che militiamo tra le righe del grande rifiuto il compito di rinverdire le corde vocali di quei fratelli inermi che vivono nell’ombra di un mondo continuamente distratto ma che sul loro sfruttamento, mascherato da progresso, si regge. A noi il compito di offendere chi la vita ha offeso per primo, a noi il ruolo di quei figli di un’ideale: collaborazione, carta del lavoro e socialismo, la proprietà sacra fino a che non diventi un insulto alla miseria, lotta contro il servilismo verso i potenti. A noi che “abbiamo spaventato il mondo dei grandi speculatori” il dovere di riportare tra le loro fantasie, spacciate per diritti, i canti della Rivoluzione Sociale.

Autore:
La Rivoluzione Sociale

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